Walther Schaumann e il suo libro

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La guida di Schaumann nella prima edizione del 1972.

Ci sono momenti nella vita che rimangono impressi a lungo, in realtà più per le sensazioni che rimangono impresse nella mente che per i fatti in sé. Uno di questi momenti si perde per me lontano nel tempo: io bambino che leggo, con l’incerta luce di una piccola lampada, il libro del colonnello austriaco Walther Schaumann, Guida alle località teatro di guerra fra le Dolomiti, nella prima edizione del 1972, oggi custodita, sebbene malmessa, come una reliquia. Avvolto dalle coperte dentro la roulotte nel campeggio all’ombra del Pomagagnon, poco sopra Cortina d’Ampezzo, leggevo con passione e trasporto, immedesimandomi ed isolandomi da tutto il resto, le gesta epiche e al contempo terrificanti di quei valorosi uomini sotto il fuoco nemico, spesso in balia degli eventi atmosferici o appesi su pareti a strapiombo. Sarei stato a fissare per delle ore, come attratto magneticamente, quelle incerte foto in bianco e nero di quegli anonimi uomini che mi parevano, e probabilmente lo erano, degli autentici eroi. Quella sera, mentre leggevo, infuriava la tempesta con fulmini e tuoni che sembravano voler sconquassare le pareti dolomitiche, rimbombando tra di esse con un profondo eco e facendo persino tremare la terra. L’atmosfera di paura si adattava perfettamente alle angosciose gesta narrate nel libro, in luoghi che l’indomani, accompagnato dai genitori, sarei andato a scoprire con lunghe camminate. Erano gli anni Settanta e Ottanta del Novecento e sebbene il turismo fosse ampiamente sviluppato, non era ancora avvenuta la riscoperta, dal punto di vista turistico, dei luoghi della guerra. Non c’erano musei, percorsi con cartellonistica o, tranne poche eccezioni, libri che indicassero i luoghi delle battaglie. Sul terreno abbondavano ancora residuati bellici, oggetti di uso quotidiano, opere costruite dagli alpini italiani e dai kaiserjäger austriaci tra il 1915 e il 1917. E per me bambino, più quei luoghi erano appartati e difficili da raggiungere più la soddisfazione era grande, poiché aumentava il numero di opere e oggetti che sembravano lasciati lì nella stessa identica posizione in cui li avevano abbandonati i soldati. Facile che l’immaginario di un bambino prima e di un ragazzino poi venisse fortemente colpito visitando i solitari luoghi così carichi di storia e di reperti appartenuti a figure che a me apparivano leggendarie e che invece lassù avevano realmente vissuto e combattuto. Probabilmente già allora, anche se non ne avevo coscienza, era stato gettato il seme che avrebbe portato alla nascita di questo libro.

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