Il filo spinato

Sul protagonista Edoardo, arpionato dal filo spinato nell’attacco al Son Pouses
(dal libro Il soldato che correva, capitolo L’acqua, paragrafo 4)

Era un’estate tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta del Novecento ed io e mio padre, in un luogo che non saprei ritrovare, probabilmente tra il lago di Landro e il Monte Piana o nelle immediate vicinanze, vedemmo da lontano, a mezza altezza di una montagna, l’apertura di una galleria della prima guerra mondiale non raggiunta da alcun sentiero. Con curiosità ci inerpicammo quindi sul costone in forte pendenza, tra sassi, abeti e pini mughi. Giunti sul piccolo pianoro dinnanzi alla galleria avanzammo nell’erba alta per raggiungerne l’imbocco, quand’ecco che mio padre si fermò di colpo guardando in basso in direzione dei propri piedi. Abbassai lo sguardo e vidi la pelle della gamba, all’altezza della tibia, orribilmente arpionata dal filo spinato, tesa all’inverosimile quasi si volesse staccare dal muscolo. Erano rotoli di reticolato ormai arrugginiti ma ancora nella loro originaria posizione a protezione della galleria. L’esperienza mi permise di comprendere, seppur in minima parte, cosa volesse dire, per migliaia di uomini, dover oltrepassare le barriere di reticolati durante un attacco. A quel tempo erano ancora numerosi, complice il luogo difficilmente raggiungibile, i segni lasciati dai soldati tra il 1915 e il 1917: resti di baracche addossate alle pareti, legname vario residuo di letti a castello e tavolini all’interno delle gallerie, porte ancora incardinate; suole di scarponi, resti di scatolette di cibo in gran quantità, lamiere, bossoli, schegge deformate di ordigni. Trovammo, tra le altre cose, anche parte di uno strano oggetto metallico originariamente di forma circolare, forse una micidiale trappola per le caviglie, una tagliola, come quella letale incontrata dal protagonista Edoardo in val Travenanzes negli ultimi giorni di guerra.

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