Sul generale Luigi Cadorna

Sul generale Luigi Cadorna, così come conosciuto nel capitolo Fiamme primitive

Difficile giudicare, con la mentalità di oggi, l’operato del generale Luigi Cadorna, cresciuto ed educato all’arte militare nel periodo Ottocentesco, quando si conosceva solamente, come stile di combattimento, l’attacco in massa. Tenuto in gran considerazione, se non osannato, da politici e giornali, non fu né meglio, né peggio, probabilmente, dei suoi omologhi stranieri. Secondo alcuni fu l’autore della linea difensiva monte Grappa – Piave, inespugnabile per gli austro-ungarici, tuttavia ciò non fece di lui uno stratega, sia per evidenti limiti caratteriali, sia per la totale impreparazione alla guerra moderna, come dimostrano le dodici battaglie dell’Isonzo, le spallate che avrebbero dovuto sfondare la linea austriaca, ma che produssero modestissimi risultati a fronte di un numero impressionante di perdite. Il suo operato fu irrimediabilmente macchiato sia dalla responsabilità della disfatta di Caporetto, sebbene a determinarla siano state una serie di concause, che dal vile tentativo di addossarne la colpa ai soldati in trincea. Del tutto negativa per il morale delle truppe fu poi la forma di comando esercitata, per lo più quella della repressione attraverso le punizioni, le fucilazioni spesse volte di soldati innocenti (si arrivò a processare e a volte a fucilare persino chi si presentava al reparto con 24 ore di ritardo dopo la licenza senza adeguata giustificazione – si pensi allo stato dei trasporti soprattutto in alcune zone della penisola). Gravi furono anche le continue destituzioni di ufficiali, in quanto lasciarono sguarnite intere divisioni, arrecando un pesante doppio danno sia per il prosieguo delle operazioni, sia per gli errori commessi dai graduati timorosi delle reazioni di Cadorna. Egli inoltre mancava totalmente della capacità di autocritica, la cui conseguenza era la continua ricerca di colpevoli per ogni seppur piccolo insuccesso o per ogni minimo disguido, a cui si univa il carattere accentratore in base al quale tutto doveva essere sotto il suo controllo, esattamente il contrario di quello che pretendeva una guerra moderna. Da non sottovalutare anche altri aspetti minori che contribuirono a demoralizzare il soldato, come le ritorsioni riguardanti i familiari dei soldati condannati (blocco dei sussidi di guerra, comunicato di denuncia appeso sulla porta di casa), la proposta di sospendere le licenze (fortunatamente non attuata) e il non tenere in nessuna considerazione le più elementari esigenze dei combattenti in trincea. Furono da lui considerati traditori, inoltre, anche i prigionieri italiani catturati dagli austriaci, specialmente dopo la disfatta di Caporetto. Ciò portò il governo, con atto ignobile, unico caso tra i paesi alleati, ad impedire l’invio di generi alimentari e di conforto nei campi di prigionia austriaci, contribuendo in tal modo a far aumentare considerevolmente il numero di decessi. Nonostante tutto ancora oggi sono presenti in Italia vie e piazze dedicate al generale.
La situazione mutò radicalmente e in meglio per l’intero esercito, a partire dall’otto novembre 1917, con l’arrivo del generale Armando Diaz, secondo alcuni un oscuro generale delle retrovie, secondo altri un uomo, spesso in prima linea a differenza di Cadorna, abile a studiare pazientemente la situazione sul campo e a sferrare l’attacco decisivo nel momento più opportuno. Probabilmente si trattava, in quel critico frangente, dell’uomo giusto nel momento giusto.

Alcuni estratti del pensiero di Cadorna

Per attacco brillante si calcola quanti uomini la mitragliatrice può abbattere e si lancia all’attacco un numero di uomini superiore: qualcuno giungerà alla mitragliatrice
Le sole munizioni che non mi mancano sono gli uomini.
Il superiore ha il sacro potere di passare immediatamente per le armi i recalcitranti ed i vigliacchi.
Non vi è altro mezzo idoneo per reprimere i reati collettivi che quello di fucilare immediatamente i maggiori colpevoli, e allorché accertamento identità personali dei responsabili non è possibile, rimane ai comandanti il diritto e il dovere di estrarre a sorte tra gli indiziati alcuni militari e punirli con la pena di morte.
Chi tenti ignominiosamente di arrendersi e di retrocedere, sarà raggiunto, prima che si infami, dalla giustizia sommaria del piombo delle linee retrostanti e da quella dei carabinieri incaricati di vigilare alle spalle delle truppe, sempre quando non sia freddato da quello dell’ufficiale.

Numerose ed impossibili da elencare in questa sede sono le pubblicazioni che riguardano la controversa figura del generale; si segnala tuttavia un recente ed esauriente volume: Il Capo. La Grande Guerra del generale Luigi Cadorna, Marco Mondini, Il Mulino, 2017.

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